Edilizia, la più colpita dalla povertà

L'indagine sui redditi dei contribuenti della Camera di Commercio. L'impoverimento ha colpito in particolare i lavoratori dell'edilizia

Nel cantiere della ferrovia Alptransit (inserita in galleria)

L’indagine sui dati  dei contribuentifatta dall’Ufficio studi della Camera di Commercio, evidenzia una perdita di reddito medio pro capite pari a 1400 euro dal 2008 al 2013. Un impoverimento che, secondo don Marco Casale, responsabile provinciale della Caritas, alcune categorie di lavoratori e alcuni settori hanno pagato più di altri, come è accaduto, per  esempio, nell’edilizia.

«La Caritas provinciale ha evidenziato correttamente la situazione negativa vissuta dall’edilizia – dice Flavio Nossa segretario generale della Fillea Cigl -. Ricordo che con la Camera di Commercio avevamo fatto prima della crisi un  lavoro sui dati della cassa edìle: ebbene, prima del 2010 si contavano complessivamente 30mila addetti, dall’imprenditore al manovale, di questi 20mila erano salariati. Con la crisi questi ultimi si sono più che dimezzati fino a scendere a 8000 addetti nel 2014. Ed è facile intuire che una parte degli espulsi dal mercato del lavoro siano finiti in stato di povertà».

Non stiamo parlando di semplici manovali o solo di muratori, ma di lavoratori altamente specializzati, ex dipendenti di imprese edìli che hanno tentato la via del lavoro autonomo aprendo una partita iva, precludendosi in questo modo anche l’accesso agli ammortizzatori sociali, pagando così un ulteriore prezzo alla crisi. Prima dell’entrata in vigore della Naspi (Nuova prestazione di assicurazione sociale per l’impiego), in fatto di ammortizzatori sociali non se la passavano meglio i lavoratori edìli subordinati a cui veniva riconosciuto il diritto all’iscrizione alle liste di mobilità (per essere agevolati nelle assunzioni delle imprese) senza però avere il diritto alla mobilità.

«Quando descriviamo queste situazioni  – continua Nossa – non pensate allo stereotipo del lavoratore immigrato perché l’immigrazione in questo settore ormai si è fermata da tempo, nessuno viene qui per fare la fame. Chi oggi patisce la crisi sono lavoratori italiani, il nostro corpo vivo, persone che vengono da un’immigrazione interna, dal sud Italia e dal Veneto, lavoratori qui da tanti anni ma il cui lavoro non gli ha dato radici solide».

Anche Antonio Massafra, segretario della Uil provinciale e per tanti anni a capo della Feneal, conferma la grave difficoltà della categoria. «Il dato della Camera di Commercio è confermato in pieno dalla dinamica dei redditi nel settore dell’edilizia – commenta il sindacalista – dove i lavoratori hanno una grande specializzazione e un basso grado di istruzione, questa particolarità fa sì che nell’edilizia ci sia una bassa barriera all’entrata e anche all’uscita del lavoratore che difficilmente si puo’ riciclare in altri settori dove è richiesto un titolo di studio o competenze informatiche e linguistiche. L’edilizia, che è sempre stata una valvola di sfogo per le crisi di altri settori, oggi non lo è nemmeno per se stessa. Ci sono capi cantiere, persone che da sole sono in grado di costruire una casa, carpentieri, piastrellisti di grande qualità che da anni sono in mezzo a una strada».

Juri Franzosi, direttore di Ance (Associazione nazionale costruttori edili) provinciale, fornisce un dato ancora più drammatico aggiornato al 2015. «I lavoratori salariati dell’edilizia sono scesi a 5mila. Parliamo però di un’emorragia che ha colpito trasversalmente, coinvolgendo tanti piccoli imprenditori e partite iva che hanno visto scomparire in modo repentino la loro fetta di mercato».

Franzosi però non limita la sua analisi alla sola crisi economica, ma apre una riflessione sulla trasformazione subìta dal settore nel suo complesso che, sommato alle turbolenze del mercato, ha messo in un angolo imprese edìli e lavoratori. «L’edilizia affronta ora l’evoluzione innescata dalla tecnologia e dai nuovi stili di vita che il resto del manifatturiero sta affrontato da tempo – spiega il direttore di Ance -. Il settore è dunque stretto in una doppia morsa: da una parte, la crisi economica, dall’altra, la crisi generata dal cambiamento e dal dato anagrafico. La prima non ha permesso più a molte imprese e lavoratori di stare sul mercato per le mutate condizioni strutturali. La seconda li ha esposti ha una concorrenza spesso sleale con una caduta evidente degli standard qualitativi. Come associazione datoriale abbiamo ben presente questi due fenomeni, in atto da diversi anni, e ci siamo attivati sia sul fronte della formazione, con la scuola edìle, sia su quello della repressione, coordinandoci con tutte le autorità competenti, tra cui Asl, Ispettorato del lavoro e Prefettura, per impedire a chi non rispetta le regole minime di ingaggio di colonizzare il nostro mercato».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 04 Maggio 2015
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