Non resterà nulla del genere trap perché siamo figli dell’Opera
Riccardo Ceratti un passato alla casa discografica Ricordi e un presente da cantautore
Nel 2020 decidere di stampare un disco su vinile sembra una scelta anacronistica. Invece sono molti gli artisti che negli ultimi anni hanno scelto di ritornare al passato per ragioni diverse. Certamente c’è un pizzico di nostalgia per un tempo in cui le canzoni non si scaricavano ma si ascoltavano e il successo dipendeva dalle copie vendute.
Riccardo Ceratti, cantautore di Varese, aggiunge una motivazione ulteriore: «Il disco in vinile mi piace come oggetto. Posso toccarlo, godermi la copertina, che spesso è un’opera nell’opera, regalarlo e collezionarlo, proprio come un libro».
Ceratti ha scelto di pubblicare il disco con i brani più importanti della sua carriera con un’etichetta discografica novarese, la Rockhattle music publishing di Albino Barbero che si occuperà anche della distribuzione. La copertina è stata affidata alla sensibilità di Mauro Carini.
Ceratti, questo ritorno al vinile è un rifiuto della tecnologia?
«No, personalmente ho un rapporto molto buono con le tecnologie digitali: ho un mac e uso programmi come Logic Pro con cui riesco ancora ad essere un artigiano della musica. La tecnologia ti permette di dedicare più tempo e dilatare i limiti della composizione perché abbatte i costi a fronte di infinite possibilità».
La forma canzone è ancora efficace per narrare il presente, la realtà. E cosa pensa del genere trap?
«La canzone si serve di linee melodiche fresche unite a testi che in alcuni casi sono di grande valore poetico. Ecco perché si radica in modo così forte nell’immaginario collettivo. L’ingrediente principale è il melos. Sfido chiunque a cantare a squarciagola un pezzo trap dove non c’è traccia di melodia. Siccome noi siamo figli dell’opera quella mancanza la avvertiamo subito. Ecco perché penso che della trap che si ascolta oggi rimarrà poco o nulla».
Secondo lei, il buon cantautore deve sempre trovare un equilibrio tra testo e musica?
«La grandezza di cantautori come Rino Gaetano e Fabrizio De André, per fare degli esempi a me cari, sta in questa consapevolezza: l’arte, nello specifico la forma canzone, è uno strumento per parlare della società, delle ingiustizie, delle speranze, dei desideri, in una sola parola della vita. I testi sono dunque fondamentali al pari della musica. Non è un caso che un tempo i compositori cercavano di accaparrarsi i librettisti migliori».
Di che cosa parlano le sue canzoni?
«Ho scritto un’opera rock dedicata a don Lorenzo Milani e mi piace cantare questa Italia, bella e dannata, illuminata da menti meravigliose e ricacciata nel buio da poteri criminali e corruzione. Basti pensare alla strage di Bologna, alle figure di Falcone e Borsellino, alla condizione operaia e all’inquinamento scriteriato. Nel nuovo disco c’è una novità: un brano dedicato a Gesù».
Di chi è figlio, musicalmente parlando, Riccardo Ceratti?
«Chiunque scrive canzoni è figlio dei Beatles e di Bob Dylan. Come ho detto amo Rino Gaetano e De André. Considero grandi Edoardo Bennato, Ivan Graziani, Angelo Branduardi, Gianni Togni, e Alberto Fortis, quest’ultimo ancora non considerato abbastanza rispetto all’opera da lui scritta. Nella discografia degli anni 70 e 80 c’è tutto».
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