Lo scudo del lavoro si chiama competenza

Il lavoro è la priorità assoluta indicata da oltre l’80% degli italiani

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Secondo l’indagine dell’Istituto Demopolis per la Rai in occasione del Primo Maggio, il barometro sul mondo del lavoro manda segnali preoccupanti sullo tsunami in arrivo dopo il terremoto Covid-19. 2 italiani su 3 vorrebbero lavorare oggi nel settore pubblico; solo il 12% opterebbe per un lavoro in proprio; e soprattutto, il 58% si dichiara favorevole ad una proroga ad ottobre dello stop ai licenziamenti dei lavoratori in cassa integrazione.

IL LAVORO

Mentre i pilastri del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza indicano transizione ecologica, digitalizzazione, mobilità sostenibile, inclusione sociale e salute, è il lavoro la priorità assoluta indicata da oltre l’80% degli italiani. Il lavoro supera le richieste di una maggiore efficienza della sanità, misure per il rilancio dell’economia e riduzione della pressione fiscale. “In seguito alla crisi da Covid, il mondo del lavoro in Italia non sarà più lo stesso. E 3 italiani su 10 temono che nei prossimi mesi qualcuno dei familiari possa perdere la propria occupazione. L’importanza del fattore “stabilità e sicurezza” del lavoro appare da anni in crescita, ma aumenta di oltre 20 punti nell’ultima fase, passando dal 54% del 2018 al 75% odierno”, commenta il direttore di Demopolis Pietro Vento.

Per gli italiani sicurezza significa in primis protezione del lavoro. Così il sogno del pubblico impiego torna di moda per il 66% degli italiani, con un incremento di 25 punti percentuali dopo la crisi pandemica. Inoltre, il 58%, avendo apprezzato la scelta del Governo di effettuare, nei mesi trascorsi, il blocco dei licenziamenti per la durata della cassa integrazione, si dichiara ora favorevole ad una proroga dello stop sino ad ottobre.

I barometri sono strumenti utili per le diagnosi istantanee. Per capire in profondità le trasformazioni bisogna capire in dettaglio, segmentando e guardando da prospettive diverse che tempo farà. Ci aiuta in tal senso, la fotografia polidimensionale sul mondo del lavoro italiano, contenuta nel Rapporto della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro “Gli italiani e il lavoro dopo la grande emergenza”, presentato questa settimana, al Festival del Lavoro.

Si conferma che stanchezza e preoccupazione per le incognite del prossimo futuro sono il sentimento prevalente nei lavoratori italiani ad aprile 2021. Una platea in cui 1,8 milioni di occupati, che ancora non hanno ripreso l’attività lavorativa a regime, e circa 1 milione, tra dipendenti e autonomi, è convinto di perdere il lavoro nei prossimi mesi (rispettivamente 620mila dipendenti e 400mila autonomi circa). A questo numero, si aggiungono 2,6 milioni di dipendenti che vedono a forte rischio il proprio futuro lavorativo sull’onda dello sblocco dei licenziamenti. La soluzione che si intravede in questo caso, in un ambito dove si stanno sperimentando nuovi modelli organizzativi e si intravede già l’aumento della competitività, è l’investimento sulle competenze, per mantenere la propria posizione lavorativa o ricollocarsi.

“Il Rapporto conferma le marcate distinzioni che caratterizzano il mercato del lavoro. È ora di investire in modo strutturale sulle politiche attive del lavoro per riqualificare le competenze di tutti quei lavoratori che rischiano di essere espulsi dal mercato con la fine del blocco dei licenziamenti, a partire dai segmenti più fragili”, commenta Rosario De Luca, presidente della Fondazione studi consulenti del Lavoro.

SAPER FARE BENE LE COSE

Alla richiesta di individuare quale fattore contribuisca di più a mantenere un lavoro o essere in grado di trovarne uno nuovo, in caso di una sua perdita, al primo posto, circa il 40% degli occupati colloca proprio “l’essere competenti” e “il saper fare bene il proprio lavoro”, mentre al terzo posto il 31% indica “l’avere le competenze giuste che servono alle imprese”. Il profilo e la profondità della propria preparazione risultano strategiche, sia per entrare nel mercato del lavoro sia, soprattutto, per restarci, assieme ad un’altra coppia di aspetti determinanti, ovvero la capacità di essere adattivi (indicata al secondo posto, dal 35% del campione)e l’avere voglia di misurarsi appieno con le sfide e gli impegni posti dal lavoro (29%).

Al confronto, l’avere o meno un contratto stabile, pesa in misura decisamente inferiore: meno di un quarto degli occupati (24%) pensa infatti che sia uno strumento efficace in grado di tutelare la continuità occupazionale, come hanno minore importanza (14%) i benefici connessi al conoscere e saper far valere i propri diritti di lavoratore, o all’essere versato nei people skills: mantenere una buona rete relazionale e amicale (15%) e buoni rapporti con colleghi e superiori (13%). Anche l’abilità di auto-promozione viene indicata da una quota relativamente più bassa di occupati (18%), a conferma di come secondo gli italiani, l’esperienza di lavoro, alla lunga, riconosca e premi più sostanza che immagine.

CAMBIA IL CONTESTO VELOCEMENTE

I benefici derivanti da un’elevata competenza, come scudo rispetto ai rischi legati all’estrema volatilità del mercato del lavoro, sono inoltre più condivisi dai possessori dei più alti livelli di istruzione (43% contro il 34% di coloro che non hanno raggiunto il traguardo di un titolo di studio secondario), mentre per converso i meno scolarizzati nutrono maggiore fiducia in meccanismi di difesa più obsoleti e spesso illusori, quali il possesso di un contratto a tempo indeterminato (28%) e il saper tutelare al meglio i propri diritti (21%). Malgrado il valore e il ruolo riconosciuto alle competenze, appena il 26% definisce il proprio profilo come specialistico e di difficile sostituzione e il 28% lo descrive come innovativo e in linea alle richieste delle aziende. Di contro, il 46% pensa di essere sprovvista di strumenti adeguati ad un contesto di lavoro dinamico, competitivo e in forte cambiamento: il 24% lamenta di avere un profilo generico e poco specializzato e il 22% lo caratterizza come oramai obsoleto. Al riconoscimento dell’importanza delle competenze risponde tuttavia un diseguale atteggiamento rispetto alla domanda di aggiornamento. Uno sforzo che sebbene ritenuto necessario, viene affrontato con una qualche resistenza, come indica l’incidenza della formazione. Negli ultimi due anni hanno partecipato ad attività formative i laureati (65,0%) e i dipendenti pubblici (59%) a fronte del 49% dei diplomati e del 45% dei dipendenti del privato. Si è creato un circolo vizioso, con i maggiormente qualificati che aumentano ed aggiornano il proprio skill set di conoscenze, mentre chi ne avrebbe maggiore necessità, vede allargarsi il knowledge divide e diminuire il proprio appeal sul mercato.

CENTRI VACCINALI

Bene investire in vaccinazioni (secondo una survey condotta dall’AIDP, l’associazione dei direttori del personale, oltre il 55% dei direttori del personale ha comunicato la disponibilità ad attivare un centro vaccinale anti Covid-19 all’interno della propria azienda). Ma per la sostenibilità del lavoro per tutti, bisogna dare priorità massima alla formazione. In un contesto caratterizzato dalle trasformazioni tecnologiche con i trend dirompenti dell’automazione, dell’e-commerce e della remotizzazione del lavoro, la sfida del mindset, dell’atteggiamento, con cui guardare ai cambiamenti in corso come un’opportunità di crescita economica, occupazionale e personale rimane centrale e determinante.

“Chi attribuisce alla crisi i propri fallimenti e disagi, inibisce il proprio talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è l’incompetenza”, Albert Einstein.

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Pubblicato il 01 Maggio 2021
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