“Lavoratori e imprenditori devono unirsi contro le rendite”

Luigino Bruni, docente di economia politica alla Bicocca, è intervenuto all'incontro organizzato da Confartigianato Varese e Fondazione San Giuseppe dedicato a Marino Bergamaschi

Marino Bergamaschi e Luigino Bruni non si conoscevano personalmente, ma entrambi sapevano chi era l’altro. E se si fossero incontrati in vita, avrebbero dialogato e si sarebbero stimati. Non è un esercizio di immaginazione perché al Palazzo dei Giureconsulti di Milano quella dichiarazione di stima è arrivata, postuma, ma è arrivata. L’occasione è stata il secondo incontro organizzato da Confartigianato Varese per ricordare Marino Bergamaschi, direttore dell’associazione Artigiani di Varese, scomparso due anni fa. «La stima è transitiva – ha detto Bruni -. Conosco persone che lo stimavano e quindi sento riconoscenza nei suoi confronti e sono lieto di essere qui».

Bruni, che è docente di economia politica all’università Bicocca di Milano, era una “conoscenza” di Bergamaschi perché i suoi scritti fornivano spunti di discussione all’interno dell’associazione varesina. «Ricordo – ha detto Mauro Colombo, attuale direttore di Confartigianato Varese – che andavo da Marino con in mano il libro di Bruni e si discuteva della reciprocità, della responsabilità sociale di impresa, del valore del lavoro». Tutti argomenti legati al tema principale affrontato nella giornata milanese, ovvero “Le virtù del mercato” che ci sono e risplendono come stelle lontane nonostante il buio imposto dalla crisi. «Questo tempo – ha spiegato l’economista – ci pone una domanda: che cosa è il lavoro? Tutti, invece, mettono al centro della scena il consumo e la finanza. Non si esce dalla crisi consumando di più, è una ricetta sbagliata».

Un tempo la fabbrica era il luogo dove accadevano le cose, a partire dal perenne conflitto tra capitale e lavoro, ma soprattutto era il luogo dove passava la ricchezza. Oggi questo non accade più, perché la ricchezza passa dalla finanza e dalle rendite. Uno spostamento che mette «in crisi il lavoro, asservito al consumo e subordinato alle rendite».
Lavorare bene è una virtù e lo è ancor di più se la motivazione è intrinseca al lavoro stesso. Far bene un lavoro è, dunque, giusto in sè. Non deve dipendere nè dall’incentivo nè dal mero guadagno. L’economista richiama l’etica dei mestieri che «era interna alla stessa pratica del lavoro». Era l’etica che pervadeva i personaggi e il mondo descritto da Edmondo De Amicis nel libro “Cuore”, ma anche il muratore bergamasco descritto da Primo Levi nell’inferno di Auschwitz.
«Un tempo al manufatto si dava del tu non dell’esso, perché era vivo e perché ci si metteva se stessi in ciò che si faceva. Ai miei studenti dico sempre che non sono solo “Il prof”, ma in aula porto anche il Luigino, che la Bicocca non puo’ acquistare, così come loro non sono solo “Stud”».

Il lavoro giusto in sè, fatto con il cuore e la libertà, non si compra nemmeno se sei una multinazionale stracarica di soldi. Rimane, però, un problema: come si fa a riconoscere quel di più che il lavoratore dà quando mette se stesso in ciò che fa? «Oggi manca un linguaggio per riconoscere quel di più – ha detto Bruni – e inoltre ci si porta dentro la paura di non essere apprezzati. E’ come quando vengono fatti i controlli al personale delle pulizie, si passa il dito dove c’è la polvere e si ignora tutto il resto. Ma se oggi l’Italia non affonda con questo debito pubblico e con questa politica è perché la mattina ci sono molte persone che si alzano e mettono tanta virtù nel loro lavoro».

Nel mondo artigiano «il fare bene» è un valore che riguarda anche le ragioni della scelta dimensionale. «Ci sono tanti artigiani – ha aggiunto Cesare Fumagalli, segretario generale  di Confartigianato imprese – che avrebbero potuto triplicare le proprie dimensioni aziendali, ma hanno deciso di rimanere piccoli e legati al territorio perché non vogliono vendere se stessi».
Considerare le persone, apprezzare ciò che fanno e quindi riconoscere il valore aggiunto del loro lavoro, per Bergamaschi erano aspetti fondamentali che dovevano pervadere l’associazione che dirigeva. «Già nel 2005 – ha concluso Giorgio Merletti, presidente di Confartigianato Varese e Lombardia – avevamo predisposto una carta dei valori perché con Marino eravamo convinti che quando si mettono i numeri davanti alle persone si perde di vista la realtà».

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Pubblicato il 03 Maggio 2012
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