Sant’Arialdo pensaci tu! e le barche vanno in processione

Come ogni anno, il 27 giugno la cittadina della Rocca celebra la festa dedicata al santo con la tradizionale "sfilata" di imbarcazioni illuminate, dal Santuario all'Isolino Partegora

Come ogni anno, il 27 giugno, Angera celebra Sant’Arialdo con la tradizionale processione delle barche illuminate. La fiaccolata sul lago avrà inizio alle 21 e partirà dal porticciolo di fronte al Santuario della Madonna della Riva fino a raggiungere l’Isolino Partegora. Ma cosa lega la storia di Arialdo da Carimate, vissuto nell’anno Mille, alla cittadina della Rocca? E perché si dice che per Sant’Arialdo arriva il temporale? Lo spiega una vicenda in bilico tra storia e leggenda: ve la raccontiamo attraverso la ricostruzione a cura di Remo Cardana, appassionato di storia e cultura locale e volontario della protezione civile.

La storia – Spesso accade che la storia sconfini nella leggenda e la leggenda nella storia; ne è esempio il racconto fantastico delle lacrime e del profumo di Sant’Arialdo che alcuni storici vogliono morto ad Angera, altri all’isola Bella. Arialdo nacque a Cucciago (Como) agli inizi dell’anno 1000. Dopo la sua ordinazione ecclesiastica, manifestò una forte opposizione nei confronti dell’alto clero milanese accusato di simonia e dissolutezza e rappresentato dall’arcivescovo Guido da Velate. Arialdo da Carimate, con Landolfo Cotta ed Erlembaldo Cotta, fondò un movimento politico-religioso di carattere ereticale e pauperistico chiamato Pataria, dal milanese patée (robivecchi). Le sue caratteristiche democratiche ne fecero un mezzo di liberazione delle classi più umili dai vincoli del feudalesimo e per questo motivo raccolse molti consensi, ma anche forti opposizioni. Il movimento si rafforzò con l’elezione a Papa di Anselmo da Baggio che assunse il nome di Alessandro Il. Era l’anno 1061. Il Pontefice non negò la sua simpatia per la Pataria né volle dimenticare i vecchi amici, e per questo prese la decisione di nominare Arialdo Gonfaloniere di Santa Romana Chiesa.
Una carica così prestigiosa affidata a un Patarino fu mal tollerata da Guido da Velate il quale, approfittando di quella ancora consistente parte di clero a lui fedele, fece in modo che a Milano si riaccendessero vecchi dissapori e sospetti mai sopiti nei confronti di Arialdo. Così facendo, però, l’arcivescovo si mise apertamente in contrasto con la Chiesa romana che gli inviò la scomunica.
Nonostante la grave censura, l’alto prelato non si perse d’animo e grazie al suo indiscutibile carisma riuscì a convincere i Milanesi della pericolosità dell’ingerenza del Papato negli affari della Diocesi ambrosiana. Resosi conto di una situazione che rischiava di degenerare, Arialdo decise volontariamente di lasciare la città, ma a Legnano venne tradito da alcuni preti a lui ostili, che senza esitazione lo consegnarono agli sbirri di donna Oliva de Valvassori, castellana di Arona e di Angera, e nipote di Guido da Velate. L’infelice Arialdo fu incarcerato nella rocca di Angera e il 27 giugno del 1066 venne trasferito all’Isolino Partegora dove, lontano da occhi indiscreti, fu sottoposto a sevizie e mutilazioni. Qui venne giustiziato, e gli assassini, per non lasciare tracce del loro misfatto, portarono nottetempo il corpo del prete all’Isola Bella per la sepoltura. I fatti però non passarono inosservati.

La leggenda – Poco tempo dopo, Andrea da Strumi giunse ad Angera alla ricerca dell’amico Arialdo e nei pressi della chiesa di San Pietro (località Bettola) trovò due donne in lacrime. Dopo averle rincuorate, si fece raccontare la ragione del loro turbamento e, con malcelato timore, esse dissero: ".. in questi giorni è stato consumato un così grave delitto, che stiamo aspettando con ansia che Dio onnipotente ci sprofondi tutti quanti all’inferno, in seguito a tale efferatezza; e tu ci chiedi perché stiamo piangendo?…" Con un gesto della mano indicarono l’isolino come luogo dell’orrendo delitto. Poi le due donne, levando gli occhi verso il cielo che si stava rannuvolando, gridarono: ricordo dell’orrendo misfatto tutti i Santi del Paradiso nel giorno del sacrificio di questo martire verseranno su queste terre le loro lacrime”. I mesi passavano e nessuno più voleva ricordare quell’evento tragico.
Un giorno, mentre un anziano pescatore di Angera era intento a tirare in barca le reti brontolando tra sé "Anca in coeu piot e bucaluni", ebbe un presentimento che lo spinse a remare verso il centro del lago. Giunto all’altezza della rocca di Arona, gettò di nuovo le reti in acqua e dopo aver consumato un frugale pasto fatto di pane con un leggero strato di "Sancarlin", si sdraiò sul fondo della barca per farsi riscaldare dai primi tiepidi raggi del sole primaverile.
Dopo alcune ore, l’uomo riprese a tirare le reti in barca. Quanta grazia di Dio! Lavarelli, persici, salmerini in abbondanza. Alzò gli occhi al cielo per ringraziare il Padre Eterno e in quel preciso momento vide una luce intensa avvicinarsi alla barca. Dopo un attimo di smarrimento e di stupore, il pescatore ebbe l’impressione di scorgere una figura umana in mezzo ad una palla di fuoco. Non diede però molta importanza alla cosa, anzi pensò: "Ho ciapà trop sul" e si rimise di buona iena a lavorare. Mentre remava per raggiungere la riva di Angera, la sua mente non riusciva a pensare ad altro che a quella misteriosa figura. Così, quando raggiunse la riva, si mise a raccontare ad alcuni pescatori quanto gli era capitato e in quel preciso momento ebbe la chiara sensazione di aver già incontrato quell’uomo, a Milano, anni prima. Sforzandosi di avere una illuminazione chiuse gli occhi e all’improvviso riuscì a dare un nome ai ricordi ancora vaghi: Arialdo era la figura vista in mezzo alle acque.

Il miracolo di Sant’Arialdo – La notizia del miracolo si diffuse ben presto; prima tra gli abitanti del borgo, poi in tutti i paesi del lago. Ma giunse anche alle orecchie dei preti autori del crimine che, in preda al panico, nel timore di essere scoperti, fecero disseppellire il corpo di Arialdo, lo fecero a pezzi, lo bruciarono ed infine ne gettarono i miseri resti nelle acque profonde del lago.Non appena Erlembaldo venne a conoscenza del fatto prodigioso, con un manipolo di fedelissimi partì da Milano alla volta del lago Maggiore nella speranza di ritrovare il corpo dello sventurato amico e potergli dare una degna sepoltura. Una sera, mentre il gruppo era accampato sulla riva del lago tra Angera e Ranco, Erlembaldo notò una piccola imbarcazione alla deriva.
A bordo non si vedeva anima viva. Alcuni uomini, presi dalla curiosità, salirono su una barca ed iniziarono a remare verso quel natante misterioso, ma, non conoscendo il luogo, andarono ad incagliarsi su di un enorme sasso sommerso (da quel giorno chiamato sass da la bestemmia). Dopo qualche imprecazione, alcuni coraggiosi si tuffarono nelle acque fredde e, fatte alcune bracciate, sentirono un soave profumo di giglio che si faceva sempre più intenso. Con grande sorpresa, si resero conto che quell’effluvio proveniva da un corpo privo di vita, adagiato sul fondo della barca abbandonata alla corrente. Lo stupore crebbe quando riconobbero Arialdo in quel cadavere gravemente mutilato. Gridando al miracolo, gli uomini presero delicatamente i miseri resti e li portarono nella chiesa di San Pietro per poi trasferirli, in barca, nell’abbazia di Scozola (Sesto Calende), sottoposta alla giurisdizione della curia pavese. A causa di dissapori tra il vescovo di Pavia e la curia milanese, l’intero gruppo dovette immediatamente proseguire via terra alla volta di Milano. Durante il viaggio, la gente accorreva incredula per sentire il delicato profumo che emanava quel corpo che, giunto a Milano, fu esposto alla venerazione dei fedeli. Qui finalmente il Santo poté trovare riposo nella chiesa di San Celso. Il movimento dei Patarini continuò per tutto il secolo ) e si estinse nel 1075 con la morte, avvenuta in combattimento, di Erlembaldo, il cui corpo fu inumato accanto all’amico Arialdo.

Il miracolo della Madonna della Riva – Cent’anni dopo, per punire l’efferato delitto, nel settembre del 1177, la natura scatenò un piccolo diluvio. Il lago si alzò di 18 braccia (circa 11 m), sommerse i paesi costieri e, per impedire che l’uomo si stabilisse sulla terra bagnata dal sangue di un innocente, spazzò via la maggior parte dell’Isolino, lasciandone solamente una piccola parte. Gli anni passarono e più nessuno ripensò alla profezia delle lacrime dei Santi. A risvegliare i ricordi ormai sopiti o dimenticati ci pensò una piccola effigie sacra dipinta su di un muro di casa Berna, situata a poche centinaia di metri dal luogo del martirio di Arialdo. La mattina del 27 giugno 1657, una donna di nome Maddalena, mentre si recava in riva al lago per il bucato, passando davanti all’immagine sacra, addobbata in quei giorni con fiori e ceri, si fermò per una preghiera. Mentre recitava il rosario, notò che dagli occhi della Madonna sgorgavano lacrime di sangue. Stupita e incredula allo stesso tempo, gridò con forza al miracolo. Le altre donne abbandonarono subito la loro brela, accorsero verso Maddalena e anch’esse videro quelle lacrime di sangue. Come uno sciame di api corsero in ogni angolo del borgo a divulgare il fatto, e la notizia arrivò anche in Parrocchia. I canonici del Capitolo interruppero immediatamente le loro orazioni; in processione, con in testa la croce astile, si recarono sui posto e il prevosto don Giorgio Castiglioni asciugò le lacrime dal viso della Madonna con un bianco telo di lino. Tutta Angera si trovò riunita su quel prato davanti alla Vergine. Non si parlava che del miracolo, e lentamente a qualche anziano tornarono alla mente vecchi ricordi tramandati di padre in figlio, dapprima confusi e poi, lentamente, più chiari. Alcuni pescatori, la sera stessa, si recarono all’Isolino per deporre un fiore ed un cero sul luogo del martirio di Arialdo. La profezia delle donne incontrate da Andrea secoli prima non tardò ad avverarsi. Il cielo si coprì di nuvole e tra lampi e tuoni si scatenò un furioso temporale; temporale che puntualmente si verifica ancora oggi tutti i 27 giugno o nei giorni immediatamente vicini.

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Pubblicato il 27 Giugno 2012
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