Il limite della politica

Una lotta per i bisogni profondi di affettività, di amicizia, di vicinanza, di fiducia, di attaccamento, di gratitudine

Ne “ Il bisogno degli altri” Michael Ignatieff sosteneva che la politica non può occuparsi delle cose fondamentali della vita perché le cose fondamentali della vita non conoscono il linguaggio che permette loro di poter agire delle rivendicazioni. Se non sappiamo nominare, dire quali sono i bisogni fondamentali per le persone, allora non possiamo farli diventare materia di rivendicazione e lotta politica. Ignatieff raccontava delle difficoltà e della solitudine di persone anziane che tornavano dal mercato con i loro pesanti sacchetti della spesa e – intervistati da lui – raccontavano che la loro più grande difficoltà fosse la solitudine, la separatezza, la mancanza di amicizia, di calore umano , la distanza dai loro figli.
Si può fare una lotta politica per la casa, per la sanità, per il lavoro, per il posto fisso, per la pensione, per le condizioni di lavoro etc., ma come si fa a fare una lotta politica per i bisogni profondi di affettività, di amicizia, di vicinanza, di fiducia, di attaccamento, di gratitudine se neanche sappiamo quanto sono importanti per tutti noi. Se non sappiamo dire che queste cose sono fondamentali, allora non sappiamo neanche lottare per recuperarle, per creare contesti di vita che permettano la loro esistenza. Questo è il limite della politica e questo rende limitati i progetti sociali che appartengono alle diverse aree politiche.
Per dare il proprio voto ad un partito si devono intravedere o un interesse oppure un progetto sociale in cui ci si identifica; sia che si voti a destra, sia che si voti a sinistra.
Ora, nonostante la desolazione generale del panorama politico italiano, bisogna provare ad immaginare che cosa sia un progetto di società, e quanto questo serva per ri-avvicinare le persone alla politica e alla cosa pubblica in generale e per dare fiducia alle nuove generazioni che stentano a sopravvivere e sono spaventate non solo dal futuro, ma anche dal presente.
Le grandi ideologie del ‘900 sono tramontate e la secolarizzazione (la perdita di influenza del sacro e del trascendente sulla vita delle persone) è oramai avanzata. Il progetto di una società giusta ed equa è fallito sotto i colpi del liberismo, dell’industrialismo e della sua sintesi massima: il mercato. Né Marx, né Gesù e neanche Freud – per fare una sintesi un po’ “rapida” – sono riusciti a resistere alla forza dirompente del mercato. Tutti e tre sono stati sconfitti (chi più, chi meno) dalla rivoluzione industriale e dal dominio della tecnica. Scienza e tecnica insieme hanno spodestato qualsiasi sistema alternativo di vedere la società e hanno proposto la visione unica fatta di consumo, individualismo sfrenato, benessere personale, ascesa nella scala sociale, interesse del singolo, profitto, antropologia dell’acquisto compulsivo, per non dire successo, visibilità e potenza economica. Ora pongo la domanda: il progetto di società di questa maggioranza è questo? E’ per caso più ricchezza, successo, denaro, potere, tutto subito, competizione, traguardi rapidi, belle case, belle donne, belle auto, vita comoda? Il progetto è per caso il trionfo del mercato?
La crisi che stiamo vivendo è figlia dei mercati finanziari che sono stati lasciati liberi di agire in totale deregulation. Le ansie da prestazione, le paure della gente che lavora di perdere il posto, i suicidi dei licenziati, le depressioni di coloro che avendo un’età di mezzo non sanno se rientreranno mai nel mondo del lavoro, le incertezze dei giovani “flessibili”, i “precari a vita”, sono tutti figli dell’eccessiva centralità del mercato. Sono decenni che si almanacca sulle mostruosità prodotte dal mercato, sulle ingiustizie che produce nella re-distribuzione della ricchezza, sulla sua forza di corrompere con il denaro, sull’indifferenza verso l’ambiente, sulla totale indifferenza verso l’altro generalizzato. L’altro diviene puro strumento del mio interesse o poco più. Il mercato, lasciato libero e senza regole produce mostruosità, ingiustizie e ineguaglianze. Scende nelle profondità dell’anima e diventa una categoria dello spirito, un metro di giudizio, un sistema di vivere e sentire il mondo, ma anche un modo di interpretare le relazioni umane. Tutto si può comperare – verrebbe da dire – tranne le cose fondamentali.
Chiedo quindi: dove si intravede un progetto sociale che possa degnamente chiamarsi tale?
Io sono rimasto all’idea che l’amicizia sia importante, la fiducia negli altri sia importante, che il tema dell’ambiente sia importante, che il futuro dei figli sia importante, che una società più giusta sia importante dove chi opera nella finanza non guadagni da 500 fino a 1000 volte quello che guadagna un operaio. Io mi sono fermato a desiderare una società dove i servizi migliorano, dove la gente fa il proprio lavoro (anche il più umile) con passione, dove si rispettano le regole che valgono per tutti, dove chi è bravo vola verso traguardi ambiziosi, dove se hai un’idea questa viene valorizzata. Ero impigliato nel fatto di pensare che ci sia un legame tra passato, presente e futuro nelle conseguenze dell’agire, dove il mio benessere non deve essere costruito sulla fatica, povertà e miseria di un’altra persona da un’altra parte del mondo, dove non dovrebbe accadere un disastro mondiale se un ordigno nucleare sfuggisse dalle mani di un imprudente governo.
Ho pensato che un progetto di società non dovesse essere quello darwiniano di chi è più forte ce la fa e gli altri si arrangino. Continuo ad immaginare la politica come qualcosa di alto, capace di entusiasmare i cittadini con grandi progetti di qualità, dove gli anziani sono integrati nella vita attiva, dove bambini e adolescenti sono al centro dei pensieri della pubblica amministrazione, dove le energie pulite diventano il pane quotidiano in una spirale virtuosa a chi fa meglio, dove l’uguaglianza delle opportunità sia concessa a tutti, dove si possono ripensare e rivedere i concetti di crescita, di prodotto interno lordo diventati misura del benessere; dove si possano ridiscutere molti assiomi della modernità. L’industria dei sonniferi e degli antidepressivi fa utili impressionanti. Forse questo dovrebbe far pensare tutti coloro che inseguono questo modello dominante. Forse qualche dubbio in più sulla strada intrapresa aiuterebbe e riporterebbe il tema di un progetto sociale al centro del confronto. Mi chiedo perché una semplice riflessione come questa, sui tratti generali e fondamentali della nostra collettività, che credo sia condivisibile da destra come da sinistra, deve per forza di cose alla fine assumere i tratti dell’utopia?

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Pubblicato il 27 Ottobre 2009
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