Locarno premia Isabelle Huppert

Dopo Abel Ferrara ed Harrison Ford altro premio alla carriera per la nota attrice francese. Per il primo giorno la pioggia non si è abbattuta su piazza Grande

Isabelle HuppertDopo il Glamour hollywoodiano di sabato, ancora star a Locarno con l’Excelence Award di Isabelle Huppert, consegnato durante una serata ancora contrassegnata dalla pioggia poco prima della proiezione di “L’Art d’aimer” di Emmanuel Mouret. Huppert, che a Locarno è stata presente in passato con diversi film, ha presenziato anche ad alcuni incontri, o lezioni di cinema, organizzati all’interno della cornice del festival e che sono tradizione, in particolare dell’Excellence Award.
Quest’ultimo è uno dei tre premi “alla carriera” assegnati a Locarno, gli altri sono Il Pardo d’Onore, e il Pardo alla carriera proprimante detto che però è il meno istituzionale dei tre: viene assegnato per decisione della direzione, della presidenza o di una delle giurie, a discrezione e in qualunque momento della manifestazione e, ovviamente, può anche non essere assegnato nel corso di una specifica edizione.
Gli altri due invece sono parte del Palmarés ufficiale e hanno, di norma, un vincitore ciascuno in ogni edizione, sono quindi premi, in qualche senso, più importanti e muniti anche di una dotazione economica (offerta da uno sponsor, per questa ragione si parla del Pardo D’Oro Swisscom e dell’Excellence Award Moèt e Chandon). Quest’anno quindi Isabelle Huppert e Abel Ferrara entrano ufficialmente, e sono i primi, fra i premiati del “Festival del film Locarno” (già, questa è, in effetti, la nuova denominazione ufficiale che, per ragioni a noi ignote ha voluto l’eliminazione della preposizione “di”).
 
Durante la giornata spazio anche per il cinema ticinese con la presentazione ufficiale dell’altro festival del film ospitato nella Svizzera Italiana, Castellinaria, dedicato al cinema giovane e per ragazzi, che si terrà a Bellinzona nella prima metà di novembre.
Fra le altre proiezioni si segnalano il francese “Low Life” atteso nel concorso internazionale perché rappresentante di una cinematografia importante e preannunciato come pellicola che scavava, con una trama romantica e quindi un registro particolare, il tema dell’immigrazione e dell’integrazione.
Folto quindi il pubblico all’avvio della proiezione, ridotto invece a poche decine di volenterosi al termine dei 134 minuti di dialoghi poetici e situazioni sentimentali poco credibili della pellicola.
 
Allo stesso tempo si deve segnalare invece il tutto esaurito (fino a fine proiezione) per due film i cui orari, oltretutto, si sommavano almeno in parte con la proiezione serale di Piazza Grande: “another Earth (Di Mike Cahill, UK, 2010) ha anzi fatto uno dei migliori risultati del festival ottenendo il pieno di pubblico in tutte e tre le proiezioni realizzate finora, il fatto poi che abbia avuto anche un certo gradimento della critica lo qualifica senz’altro come uno dei successi di questa edizione.
Sorprendente invece il sold out realizzato da “An African Election”, per la verità proiettato nella sala non immensa del “Rialto 1”, che però ha sorpreso l’organizzazione al punto che il regista Jarreth Merz si è visto costretto a seguire la proiezione seduto per terra. Due parole su questo documentario coprodotto dalla RSI vanno spese sia per segnalarne l’ottima qualità narrativa e cinematografica (un documentario realizzato in presa diretta che si muove coi ritmi e la suspence di un film di fiction è sempre un gran risultato) sia per l’interesse specifico del soggetto: Merz, originario del Ghana, è tornato nel suo paese natale dopo 28 anni di assenza per seguire le elezioni presidenziali del 2008; lo ha fatto realizzando questo documentario che è indiscutibilmente un documento straordinario anche solo per il fatto che i due candidati alla presidenza e i loro due ultimi predecessori sono fra i protagonisti principali; Merz li segue nei giorni della campagna elettorale, li accompagna a casa, si siede in macchina con loro e ne riprende le conversazioni. Un documento veramente impressionante che, tra l’altro, mostra la vita di una democrazia africana sorprendente per la sua capacità di funzionare in termini legali e stabili e di vedere processi elettorali corretti anche in presenza di situazioni di grande tensione. E qui, bisogna aggiungere, a creare la suspence del film ha contribuito seriamente la cronaca della realtà, con i due candidati appaiati dopo il turno di ballottaggio e la decisione finale affidata ad una remota provincia agricola dell’estremo nord, chiamata a ripetere le elezioni da sola, pochi giorni dopo il voto nazionale decidendone così l’esito.
 
Un altro film che va senz’altro segnalato è la seconda proiezione della Piazza Grande “Red State” di Kevin Smith, il regista di “clerks”, che si confronta per la prima volta con un horror. “Red State” è l’espressione con cui la stampa, negli USA, definisce gli Stati più conservatori dell’Unione (perché votano solidamente per i repubblicani, il cui colore è il rosso appunto) e il regista lo usa in questo contesto in modo deliberatamente forzato, per introdurre un film violento e terrificante dove i carnefici sono un gruppo di cristiani fondamentalisti che commettono omici rituali di ragazzi sospettati di omossessualità. L’FBI ha qualche sospetto ma interviene solo quando uno sceriffo preoccupato di nascondere fatti che lo riguardano, li manda sul posto senza avere compreso la gravità della situazione. Infatti i fanatici hanno rapito, poche ore prima, tre ragazzi accusati di frequentare prostitute e ne hanno già ucciso uno, l’intervento della polizia sfocerà in momento di assoluta violenza e in un efferato massacro. Alla fine John Goodman, capo degli agenti federali, non potrà fare altro che contare le vittime e condurre in cella un pugno di fanatici sopravvissuti. Un film di genere naturalmente, vagamente “tarantiniano” ma con un sostrato di ironia politica, tanto da essere stato presentato in orgine al Sundance film Festival, grande vetrina del cinema “impegnato” degli Stati Uniti.

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Redazione VareseNews
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Pubblicato il 08 Agosto 2011
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