La ricerca di Confartigianato sul digitale abbatte due tabù
Presentata al Gruppo del Sole 24 ore la ricerca di Pwc sul digital manufacturing

«L’approccio al digitale è un cambiamento culturale che non si esaurisce con la sostituzione di macchine analogiche con quelle digitali, perché l’apporto della persona è ancora fondamentale nella lavorazione artigianale. Ciò che serve è la consapevolezza di come evolvere in questo nuovo scenario». Con solo quarantatré parole, Mauro Colombo, direttore di Confartigianato Imprese Varese, ha spiegato al folto pubblico intervenuto al quartier generale del Gruppo del “Sole24ore” a Milano, perché era importante esserci alla presentazione della ricerca sul digital manufacturing condotta da Pwc e commissionata dall’associazione di via Milano.
Il cambiamento di cui parla Colombo riguarda tutti e questo è il motivo per cui Confartigianato prima ha dato vita al FaberLab, laboratorio di fabbricazione digitale, e poi lo ha aperto a tutta la comunità, in primis alle scuole. Creare un ecosistema favorevole al digitale e alle imprese è un punto fondamentale anche della ricerca, presentata da Massimo Pellegrino, partner Pwc, che inquadra il digital manufacturing come la naturale evoluzione della manifattura e il modello grazie al quale puo’ rafforzarsi e risorgere. «In un ecosistema articolato e caratterizzato dalla polverizzazione dei suoi attori – ha detto Pellegrino – è necessario un hub che funga da catalizzatore delle realtà imprenditoriali locali».
Nella dinamica del cambiamento c’è anche una convergenza tra artigianato e manifattura industriale, perché il digital manufacturing permette di avvicinarsi alle specificità del cliente e all’unicità del prodotto, pur mantenendo una dimensione industriale. Una volta abbattuto un tabù, tanto vale provare a scardinarne un secondo, il «made in», forse il più ostico per chi, come gli artigiani, è sempre stato orgoglioso del proprio saper fare, ma in un processo di maggiore flessibilità organizzativa generato dal digitale ci si potrebbe dunque accontentare di un «Thougth in Italy» (pensato in Italia).
Le istituzioni pubbliche cercano di inserirsi in questo quadro a colpi di provvedimenti per favorire i makerspace e i fablab, sforzo apprezzabile se non fosse sottoposto ai tempi incerti della politica e alla pressione del consenso. Le università a loro volta scontano un certo ritardo in fatto di cultura digitale, soprattutto nei settori dove la produzione italiana ha creato il mito come nel caso delle macchine utensili, comparto che compete alla grande con i campioni tedeschi, molto precisi ma meno creativi degli italiani.
«Abbiamo fatto una rivoluzione digitale all’italiana» ha sottolineato con molta onestà, durante la tavola rotonda, Costantino Bongiorno, cofondatore di WeMake. Non che per gli artisti del Rinascimento sia andata diversamente. «Se oggi ci fosse Michelangelo – ha sentenziato Roberto Albonetti , direttore generale delle attività produttive della Regione Lombardia – probabilmente avrebbe fatto la Pietà in modo diverso. Non togliendo materia, ma aggiungendone».
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