Fabrizio Marabini, l’ingegnere varesino che fa volare Luna Rossa

Il 55enne è alla settima avventura nella America's Cup che ha vinto con Team New Zealand nel 2017. «In trent'anni è cambiato tutto; la nostra barca può battere gli inglesi nella finale di Prada Cup»

fabrizio marabini vela luna rossa

Trent’anni fa era tutto diverso e non per modo di dire. Era diversa l’Italia dove i protagonisti della Prima Repubblica avevano appena vissuto la giostra dei Mondiali di calcio, ignari di quanto sarebbe accaduto da lì a poco. Era diverso il mondo, ancora diviso in due blocchi perché gli effetti della caduta del Muro di Berlino non si erano ancora propagati del tutto. Era diversa anche la vela, visto che la America’s Cup, l’antichissima competizione simbolo di questo sport, si era disputata fino a quel momento sui “vecchi” 12 metri, scafi bellissimi e importanti ma assolutamente classici nella concezione e nell’utilizzo.

Ma le rivoluzioni, in ogni ambito erano alle porte. «E io, che mi ero da poco laureato in ingegneria aereospaziale, con indirizzo fluidodinamico, non sapevo nulla del mondo delle barche a vela. Avevo iniziato a lavorare in Aermacchi quando il relatore esterno della mia tesi mi disse che il “Moro di Venezia” cercava una persona in grado di analizzare i dati, da inserire nel team che avrebbe partecipato alla America’s Cup». A parlare è Fabrizio Marabini, oggi 55enne, nato a Bergamo ma trasferitosi da ragazzo a Varese. Grazie a quella proposta inattesa e, per lui, curiosa, Marabini ha iniziato un cammino che lo ha portato a vivere in diverse località straniere, a partecipare da tecnico a sette Coppe America (compresa quella in corso) e a vincere, con i colori di Team New Zealand, l’edizione del 2017. (Le foto di questo articolo sono gentilmente concesse dal Luna Rossa Prada Pirelli Team)

Fabrizio, come stava cambiando la vela nel momento della sua prima collaborazione con il Moro?

«Rispetto a oggi era tutta un’altra cosa. Non esisteva la simulazione come la conosciamo oggi, c’era solo qualche programma che “ipotizzava” il comportamento delle barche in base a pochi parametri. Tutto il lavoro di progettazione, di sperimentazione e di verifica delle prestazioni veniva svolto in mare. Quando io arrivai nel team ero l’unico addetto all’analisi dei dati: i velisti si allenavano, scendevano dalla barca e si confrontavano con me riportando le loro sensazioni. Il Moro di Venezia però ha dato il via a una nuova era».

In che modo?

«Dall’edizione del 1992 venne cambiata la classe velica delle barche impegnate nella America’s Cup: cominciarono a essere necessari grandi budget e vennero inserite numerose figure professionali all’interno dei team. Per questo scesero in campo i tycoon: Raul Gardini per l’Italia con il Moro o Bill Koch per gli USA con America Cube che vinse la coppa proprio contro di noi».

luna rossa vela america's cup 2021

Dopo quella prima edizione, come è proseguita la sua carriera?

«Innanzitutto collaborando con le sfide italiane. Inizialmente non dovevo essere con la prima Luna Rossa perché l’armatore Patrizio Bertelli cercava figure differenti rispetto al Moro, non voleva creare una copia della barca di Gardini. Però in questo campo gli uomini più esperti erano quelli e così anche io venni ingaggiato da Prada per la America’s Cup del 1995; d’altra parte la vela era diventata la mia attività principale. Quindi nel 2000 e nel 2003 fui ancora con Luna Rossa per la quale oltre all’analisi dei dati iniziai a occuparmi anche della strumentazione di bordo (nel 200o la barca italiana vinse la Louis Vuitton Cup e disputò la finale contro New Zealand ndr); nel 2007 invece volli provare una nuova esperienza e lavorai con un altro sindacato italiano, Mascalzone Latino. Dopo la coppa restai a vivere a Valencia, altro momento importante per la mia storia professionale».

Cosa accadde?

«Venni ingaggiato dal sindacato spagnolo per sviluppare il sistema elettronico di bordo di proprietà del team. Poi però l’edizione successiva fu segnata dalle controversie legali e si disputò solo tra Alinghi e Oracle. La squadra però diede a me e a un mio collaboratore, Roberto Berrozpe, la possibilità di continuare a lavorare a quel progetto. Fondammo una società, la Fa.Ro. che diede vita a un sistema di bordo per le barche di America’s Cup: Luna Rossa per la quale sono tornato a lavorare lo adotta tutt’ora».

luna rossa vela america's cup 2021

Prima di tornare con Prada però, lei ha vinto con New Zealand.

«Sì, sono campione in carica! Prada non ha partecipato alla scorsa edizione e allora un gruppo di italiani ha collaborato con i neozelandesi. Avevamo un “incoraggiamento” non vincolante a tornare con Luna Rossa se nel 2021 Bertelli avesse rilanciato la sfida, quindi per questa edizione sono tornato a battere bandiera tricolore».

Quel è il suo ruolo oggi, con Luna Rossa?

«Innanzitutto a bordo di Luna Rossa è installato il sistema creato da Fa.Ro., quindi la messa a punto passa da me e dal mio socio Roberto. Inoltre sulla barca ci sono circa 500 sensori: io mi occupo della gestione della parte “tradizionale”, ovvero della calibrazione del vento, ma anche della progettazione e gestione delle fibre ottiche di bordo».

Pur facendo parte del team, lei lavora da casa. Come si svolge la sua attività?

«Esatto, per scelta familiare abbiamo deciso di non andare in Nuova Zelanda come invece era accaduto nelle edizioni precedenti. Mi aiuta la tecnologia: guardo le regate che si disputano nella notte italiana e ricevo i dati che scarico e analizzo quotidianamente. Valuto quello che si può correggere a livello di strumentazione di bordo e invio il report con le mie considerazioni».

luna rossa vela america's cup 2021

In finale di Prada Cup (il torneo degli sfidanti), Luna Rossa affronterà gli inglesi di Ineos Team UK. I britannici non hanno mai perso, anche se nelle regate di preparazione dei mesi scorsi sembravano i più lenti. Cosa è accaduto?

«Queste barche sono in continua evoluzione e anche piccole modifiche possono cambiare completamente il comportamento dello scafo in gara. Ineos aveva qualche problema strutturale, inizialmente, e aveva navigato meno degli altri team per cui nelle regate preparatorie era ancora in rodaggio. Però le potenzialità si erano intuite anche perché a bordo ci sono dei grandi velisti. Inoltre loro utilizzano solo sei uomini come grinder contro gli 8 di Luna Rossa e di America Magic: questo consente agli inglesi di avere due persone in più fisse concentrate sul campo di regata. Luna Rossa si sta adeguando, coinvolgendo maggiormente il randista Pietro Sibello, che tra l’altro è un grande di questo sport».

Secondo lei la barca italiana ha ancora margine per recuperare sugli inglesi e provare a vincere la Prada Cup?

«Direi di sì, la finale non parte già decisa. Già nelle semifinali contro gli USA si è vista una Luna Rossa dalle prestazioni in miglioramento anche se i gravi problemi del team America Magic che erano seguiti alla scuffia (il ribaltamento della barca che ha rischiato di affondare ndr) hanno condizionato le regate. Però, specie con vento forte, la nostra imbarcazione era apparsa in crescita così come nella gestione della gara: bisognerà vedere se anche Ineos avrà questi margini e come sfrutterà eventuali modifiche. Ci troviamo in una situazione simile alla Formula Uno: è decisivo trovare il giusto compromesso tra la velocità e la manovrabilità degli scafi: gli USA hanno cercato di andare più forte ma hanno avuto problemi in manovra; Luna Rossa è stata più conservativa nella prima fase, ma ha guadagnato una grande manovrabilità che è molto utile durante una fase decisiva come la partenza».

Resta la sorpresa nel vedere queste barche incredibili, capaci di viaggiare sopra al pelo dell’acqua. Ci spieghi, dall’alto della sua grande esperienza, come si è arrivati qui.

«Team New Zealand è sempre molto bravo a trovare le zone grigie del regolamento. Fino alla scorsa edizione si usava la classe AC72, i catamarani che non erano studiati per il foiling. A introdurlo sono stati i neozelandesi che hanno pensato a questo sistema per far volare la barca, ridurre in maniera enorme la resistenza dell’acqua e quindi aumentare di molto i nodi, quindi la velocità. Rispetto al passato ci sono molta più elettronica e idraulica sulle barche, tanto che si parla ormai di meccatronica per indicare l’insieme di queste discipline. Naturalmente tutto diventa più complesso, costoso e causa tempi di progettazione e messa a punto più lunghi. Il contrario delle regate che, invece, ora sono velocissime».

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Damiano Franzetti
damiano.franzetti@varesenews.it

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Pubblicato il 11 Febbraio 2021
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