Melina in lacrime davanti al giudice: “Non ho ucciso mio marito”

Confronto tra la 66enne, accusata di aver preso parte all'omicidio di Antonio Faraci insieme ad altri due, e i testi amici dei due tunisini latitanti. Tra pochi giorni scadono i termini per la custodia cautelare e potrebbe uscire

tribunale busto arsizio

Melina Aita ha pianto e riaffermato la sua innocenza davanti al giudice per l’udienza preliminare Luca Labianca, durante l’incidente probatorio con gli amici dei presunti assassini del marito Antonio Faraci, insieme a loro (Bechir Baghouli e Slaheddine Ben H’Mida, latitanti) è accusata di aver organizzato e aver preso parte all’omicidio del marito nella loro casa di via Briante a Somma Lombardo, lo scorso 13 aprile, quasi un anno fa. E quasi un anno è passato da quando è stata arrestata e condotta in carcere (il 18 aprile scadranno i termini di custodia cautelare), quasi a sorpresa, dai Carabinieri di Gallarate al termine di una rapida indagine. Dei due tunisini, invece, neanche l’ombra.

Il confronto tra i 4 testi e la donna non ha aggiunto nuovi elementi alla vicenda. Gli amici di Bechir hanno confermato che l’uomo – il giorno dell’omicidio – aveva una ferita sanguinante alla mano e che aveva disperato bisogno di soldi per scappare in Francia da un parente. Da quel momento si sono perse le sue tracce e le ricerche internazionali avviate dal sostituto procuratore Rosaria Stagnaro non hanno portato i frutti sperati. Altra circostanza che è stata confermata dalla stessa indagata è il fatto che Melina e Bechir si conoscessero mentre gli amici hanno confermato la relazione che il presunto assassino aveva con una donna anziana che le procurava soldi e cocaina. Per questo gli inquirenti sono convinti che tra Bechir e Melina vi fosse una relazione. A sostegno della tesi accusatoria, inoltre, c’è la registrazione dell’auto di Slaheddine che entra a Somma Lombardo e le celle agganciate dal telefonino di Melina che la posizionano nei pressi di casa sua in un orario compatibile con l’omicidio, poi a Fagnano Olona (era andata a trovare la figlia) per poi fare ritorno attorno alle 8 di sera, quando scopre il cadavere del marito e chiama i soccorsi.

Secondo la difesa (Cesare Cicorella e Carlo Taormina) la ricostruzione della Procura «non dimostra la relazione tra il tunisino e Melina» e considera «alquanto fantasiosa l’ipotesi del consumo di cocaina da parte della 66enne». I legali sono intenzionati a chiedere la revoca della misura o i domiciliari per la donna anche se ormai mancano pochi giorni alla scadenza dei termini di custodia cautelare (il 18 aprile) a meno che il magistrato non intenda chiedere un’ulteriore proroga di 6 mesi.

Orlando Mastrillo
orlando.mastrillo@varesenews.it

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Pubblicato il 26 Marzo 2015
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