“Il lavoro è speranza, è vita. Non può diventare un’arma letale”
Centinaia di persone si sono strette alla famiglia di Gaetano Saraceni, il giovane ucciso nella ditta dove lavorava martedì scorso. Una morte che ha scosso l'intera comunità
"A te che sei… semplicemente sei.. Sostanza dei giorni miei. Sostanza dei giorni miei".
Sulle note della canzone di Jovanotti, i tanti, tantissimi amici, conoscenti, compagni di avventure di Gaetano Saraceni lo hanno salutato, questo pomeriggio sabato 13 febbraio, sul sagrato e nella chiesta parrocchiale di Buguggiate, comune dove risiedono i genitori.
La corona di fiori "nerazzurra" degli zii e delle zie. La maglietta dell’Inter ripiegata sotto il braccio di un giovane con gli occhi gonfi. Le numerose sciarpe, distese sulla bara bianca piena di fiori.
E tanti, tantissimi volti devastati dal dolore.
L’ultimo saluto a Gaetano Saraceni, il giovane 31enne di Azzate, ucciso mentre lavorava nella ditta
Riganti di Solbiate Arno martedì scorso, ha visto la partecipazione di centinaia di persone, accalcate in chiesa e sul sagrato ad ascoltare le parole del parroco di Buguggiate don Giovanni che ha lanciato un appello perchè si fermino le stragi sul lavoro: « Il lavoro è speranza, è vita. Come si fa ad accettare che diventi un’arma letale?»
Un discorso che ha interpretato i tanti interrogativi racchiusi nei cuori dei famigliari, dei parenti e degli amici: una persona così piena di vita, uccisa e tolta all’affetto dei propri cari in questo modo.
« Non è però, questo il momento e il luogo per cercare responsabilità – ha aggiunto il parroco – Chi può, però, si occupi di questa situazione».
Un lungo e commosso applauso al passaggio del carro funebre ha sottolineato l’ultimo doloroso addio.
Tra la folla anche Marco Riganti, titolare della ditta dove lavorava Gaetano e sindaco di Solbiate Arno, e i parroci di Solbiate e Azzate.
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