Le sabbie mobili nel “Pozzo del Saltriosauro”

La cavità trovata da un escursionista. Un anfratto seminascosto tra blocchi di roccia che nasconde una vera sorpresa. La storia della scoperta

Il pozzo del saltriosauro

Una recentissima scoperta, la prima bella e interessante novità speleologica del 2017. Nel mese di gennaio, infatti, un geologo impegnato in un’escursione nell’area compresa tra le cave di Saltrio e il versante est del Monte Orsa, dopo essersi imbattuto in un anfratto seminascosto tra blocchi di roccia ed aver compreso trattarsi di una verticale naturale, avvisò immediatamente Guglielmo Ronaghi, Presidente del Gruppo Speleologico Prealpino, organizzando con lui un’uscita per ispezionare la cavità.

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IL SOPRALLUOGO – Il primo sopralluogo fu determinante per appurare la presenza di un pozzo profondo oltre 25 metri e sino ad allora inesplorato, caratterizzato da morfologie tipiche delle grotte scavate dall’azione dell’acqua, fenomeni osservabili soprattutto dagli esperti, i quali sanno interpretarli attraverso le tipiche forme delle pareti. Un pozzo piuttosto ampio, davvero suggestivo, che gli speleologi hanno sceso con notevole soddisfazione e interesse, fotografandone le morfologie ed effettuando varie misurazioni.

IL POZZO DEL DINOSAURO  – La prima escursione a questa grotta, subito denominata “Pozzo del Saltriosauro”, in riferimento alla celeberrima e feroce creatura che visse 200 milioni di anni fa, i cui resti vennero scoperti nel 1996 proprio nell’area delle cave di Saltrio, fu determinante per localizzare, sul fondo della verticale, uno stretto cunicolo oltre il quale, secondo l’intuizione degli esperti, si sarebbe dovuta trovare la prosecuzione della grotta.

LA SECONDA DISCESA – Fu pertanto necessario organizzare una seconda discesa esplorativa nel pozzo, effettuata a una decina di giorni di distanza dalla prima, dando nel frattempo l’opportunità, allo scopritore del suo ingresso, di seguire un corso rapido di progressione su corda, una giornata in palestra di roccia per conoscere il corretto uso delle attrezzature utilizzate per scendere e salire sulle corde, imparando le tecniche che gli hanno consentito di seguire in profondità gli esploratori, così come tanto desiderava.
Venne quindi effettuata la seconda escursione nel Pozzo del Saltriosauro, durante la quale si procedette all’allargamento del cunicolo terminale con la rimozione del fango e del detrito in accumulo. Dopo aver ottenuto un passaggio transitabile si giunse in una sala, ovvero uno spazio più ampio e comodo, poi venne subito notata una piccola galleria discendente, in forte pendenza. In basso, a pochi metri di distanza, una stretta apertura, una finestra oltre la quale occhieggiava nuovamente l’oscurità. Un primo test condotto con lancio di pietre al di là dello stretto passaggio svelò immediatamente la presenza di una secondo pozzo, intuendo però che quest’ultimo doveva essere di modeste dimensioni.

LE SABBIE MOBILI – Fu tuttavia necessario tornare per una terza volta, procedendo all’installazione dei tasselli di ancoraggio per fissare la corda e scendere in sicurezza anche da quel salto, profondo 5 metri, e giungendo in quella che, all’unanimità, fu considerata la “fine” della grotta, o perlomeno del tratto percorribile dagli esseri umani. Una sala abbastanza ampia ma completamente invasa da fango e detriti di piccole dimensioni, un luogo dove le acque di percolazione provenienti dalla superficie hanno convogliato limo, fango, pietruzze e quant’altro potesse essere trascinato sottoterra, trasformando il fondo della sala in un giacimento di sabbie mobili, nelle quali si sprofonda lentamente e dalle quali ci si libera con non poca difficoltà.
A testimonianza di come questa ultima parte della grotta funzioni da serbatoio di percolazione, la sottile linea di livello, individuata a circa 3 metri di altezza, e costituita da fango di colore diverso con particelle di legno e foglie, una traccia che racconta inequivocabilmente la presenza, in certi periodi dell’anno, di un vero e proprio lago sotterraneo alimentato dalle acque che, precipitando dall’alto, lentamente, poi defluiscono in profondità, filtrando dal fondo argilloso della grotta.

In alcuni angoli della sala sono state anche osservate delle belle concrezioni, se pur di dimensioni modeste. Terminata così le fasi esplorative, alle quali hanno preso parte anche gli speleologi Frank Wolf, Claudia Crema, Andrea Triggiani, Barbara Giuliani e Matteo Boaretto, si è proceduto alle misurazioni della cavità realizzandone la mappatura completa, attraverso la quale si è potuto stabilire che il Pozzo del Saltriosauro, che si è originato all’interno di un’area ad alto interesse paleontologico molto ricca di fossili marini, vanta la profondità di oltre 40 metri dall’ingresso, con uno sviluppo planimetrico di circa 35.

Gli esperti non escludono che nelle zone limitrofe siano presenti altri fenomeni ipogei paragonabili a questa grotta, tant’è vero che sono tuttora in corso ricerche e osservazioni alla ricerca di eventuali ingressi nascosti.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 20 Febbraio 2017
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