La dura vita della polizia penitenziaria

Oltre ai carcerati, anche le guardie carcerarie devono far fronte a grossi problemi per gestire una struttura con il 240% di detenuti in più. "Noi qui facciamo di tutto, anche gli psicologi -raccontano gli agenti- ma la verità è che siamo abbandonati a noi stessi"

 Non ci sono solo i detenuti a dover affrontare la difficile situazione del sovraffollamento di un carcere. Certo, chi sta dietro le sbarre ha la maggior parte delle difficoltà, ma anche chi quelle sbarre deve controllare vive in una condizione non facile. «Il primo grande problema è la carenza di personale» spiega uno degli agenti di polizia penitenziaria in forza alla struttura bustocca, Salvatore Puleo (che fa anche parte di Movimento Prealpino), che quindi «ci costringe a fare lavori che non dovremmo fare o a sguarnire alcune postazioni». Avere un tasso del 240% di sovraffollamento non è certo uno scherzo per chi deve garantire la sicurezza specialmente se con l’aumentare dei detenuti non crescono anche le guardie. 
Ma i problemi riguardano anche la struttura fisica. Un carcere pensato per 167 detenuti ha molte difficoltà ad essere riadattato per 400, e non solo per quanto riguarda le celle. «Hai idea di cosa voglia dire far aspettare un bambino che è venuto ad incontrare suo padre perchè non ci sono sale disponibili per gli incontri?», chiede retoricamente Puleo. Non mancano neanche le volte in cui «i detenuti vengono a piangere da noi, a chiederci di aiutarli per i loro problemi» continuano a raccontare gli agenti di polizia «e noi cerchiamo di aiutarli. Sai una cosa? Qui noi non siamo solo poliziotti, siamo anche psicologi, consulenti, aiutanti, amici», chiosa un altro. Certo che «è difficile non scaricare le proprie frustrazioni sui detenuti quando i turni sono lunghissimi e i problemi irrisolvibili». E in una situazione del genere spesso è necessario forzare i regolamenti con inevitabili problemi e rischi. «Guarda il caso delle docce» racconta uno degli agenti. «La legge dice che le docce dovrebbero essere all’interno delle celle ma da noi non è così. Da noi ci sono 4 docce per sezione e alcune sono anche guaste; come possiamo pretendere che i detenuti si facciano tutti la doccia durante l’ora d’aria quando scendono nei cortili?». La soluzione? «Tenere aperto un po’ più del tempo dell’ora d’aria e permettere a tutti di lavarsi. E se dovesse succedere qualcosa, qualunque cosa, di chi è la colpa?».
Per non parlare poi della struttura in sé che «ha un sacco di carenze che non possiamo risolvere per mancanza di fondi». Anche la stessa caserma dove vivono alcuni degli agenti avrebbe bisogno di interventi e non solo architettonici. «Lo sai da quanti anni a me non danno un giaccone nuovo? Otto, otto anni!», si lamenta un altro agente che, effettivamente, indossa una giacca diversa da quella degli altri suoi colleghi. «Sai qual è il vero problema? -conclude laconicamente un agente- E’ che qui siamo abbandonati a noi stessi. E non cambierà nulla fino a quando non succederà qualcosa di grosso». E chissà se una condanna per trattamento inumano sarà abbastanza grossa per far cambiare qualcosa.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 11 Gennaio 2013
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