Civati: “Costruire una nuova sinistra si può ma serve tempo”

Il fondatore di “Possibile”, Giuseppe Civati ha risposto a qualche domanda sul futuro della sinistra italiana e del Paese

giuseppe civati

Abbiamo intervistato Giuseppe Civati a margine dell’incontro che si è svolto venerdì sera al Quarto Stato di Cardano al Campo.

Giuseppe Civati, lei pensa che esista in Parlamento un’opposizione al governo giallo-verde di Conte?

“La verità è che un’alternativa in Parlamento si sta già costruendo, ma non è una buonissima notizia per il Paese perché si tratta del ritorno di Silvio Berlusconi: a mio avviso se il governo attuale dovesse continuare a puntare su queste politiche pericolose, chi ha interessi in campo a livello economico, nell’impresa e nel lavoro, si mobiliterà, puntando a costruire una destra differente. Si inizia a sentire parlare di un Giorgetti, di un ‘Maroni più che Salvini’, o comunque dell’esigenza che Salvini torni a discutere con gli altri. A quel punto si vedrà il capolavoro del Movimento 5Stelle, che dopo un anno si ritroverà con diversi parlamentari in meno,confluiti sui banchi leghisti.

E il centro-sinistra? Come vede il futuro del Partito Democratico e degli altri movimenti d’opposizione? Come possono rispondere alle politiche del governo Conte?

“L’alternativa vera si sta costruendo, è quella di cui abbiamo parlato questa sera, capace di offrire un’immagine differente del Paese e proporre idee concrete per il futuro, ma per realizzare ciò c’è bisogno di tempo.
C’è chi mi dice “Tornate insieme, nel Pd”, ma riunirsi per essere il partito degli ultimi anni non ha senso. Al di là dei singoli leader, non è presente una proposta culturale e politica in cui credere e da fare ai cittadini: una proposta che c’è stata ad esempio col primo Ulivo, poteva piacere o meno, ma c’era un’idea per il futuro. Dopo abbiamo solo arrancato. C’è quindi bisogno di tempo, perché le scorciatoie momentanee o le ‘botte di entusiasmo’, non funzionano mai, soprattutto per parlare a questo mondo complicato di oggi. Migrazioni, Europa, Ambiente: sono argomenti importanti su cui rivolgere lo sguardo, puntando a migliorare la vita dei cittadini nella loro concretezza. Il problema è che la politica non discute più di niente: il dibattito fra le parti si sta riducendo a un mero tifo da stadio, senza contenuti. Occorre ripartire da una nuova narrazione del quotidiano. La questione dei migranti, ad esempio: al di là di ciò che ci viene ribadito continuamente da Salvini, l’integrazione esiste già, c’è nelle scuole, fra i nostri bambini che crescono insieme. Bisogna raccontare questo agli italiani”.

C’è stato un momento, fra il 2013 e il 2014, in cui una larga fetta degli elettori del Partito Democratico le chiedeva a gran voce di prendere le distanze da Renzi e di creare un’alternativa di sinistra. Lei decise di restare all’interno del partito. Col senno di poi, riflettendo su come sono andate le cose nel centro-sinistra e di come ciò abbia influito sul risultato delle elezioni del 4 marzo, lei sente di avere qualche rimpianto, ripensando alla sua decisione?

“La verità è che io ero d’accordo ad andare via dal Pd, ma chi era intorno a me (i cosiddetti ‘civatiani’, i membri del Pd che avevano supportato la candidatura di Civati a segretario del partito, ndr) no. E, diversamente da come vengo descritto, non credo nelle scelte individualiste. Le cose poi sono andate come sappiamo: quando si è deciso di andare avanti con Renzi e quella maggioranza, ormai era finito tutto. Spiegarlo era difficile, Renzi in quel momento era popolarissimo. Quando il partito prese il 40% alle Elezioni europee, egli decise di fare cose di cui non si era mai discusso, ad esempio la riforma costituzionale; in quel momento non chiamò noi della minoranza interna al partito per un confronto: forte del risultato elettorale seguì altre strade. Strade che puntavano a prendere il posto di Silvio Berlusconi e sappiamo dove ci hanno portato. Per questo credo occorra costruire un’alternativa a questo governo non riunendosi senza un programma preciso, ma analizzando quali sono davvero le risposte che vogliamo dare ai problemi del Paese. Bisogna fare un ragionamento più maturo. Col senno di poi avrei dovuto ‘scoppiare’ prima, raccontare con più pathos la pericolosità di una simile politica. Adesso tutti analizzano ciò che è stato il governo Renzi, ma già allora era necessario spiegare con maggiore forza il rischio che stavamo correndo”.

Cambiamo argomento. Lei si è sempre occupato con passione del ruolo di internet nella società, approfondendo argomenti come la digitalizzazione e il potere delle grandi aziende online. Come può la politica affrontare la questione nel modo più corretto?

“Si tratta di un tema fondamentale: l’industria culturale, che poi interviene sulle nostre politiche e sul consenso, e le multinazionali che non pagano le tasse (Google, Amazon, ad esempio ndr), non possono essere fronteggiate dai singoli stati. Per questa ragione il ruolo dell’Unione Europea è rilevante per affrontare la questione della Web Tax: (a Bruxelles) se ne discute da cinque anni e se non dovessero trovare un accordo per imporre questa tassa, sarebbe una sconfitta clamorosa. Se ogni Paese dovesse fare la propria tassa verrebbe fuori un pasticcio eterogeneo. Se invece ci fosse un potere politico europeo capace di prendere provvedimenti sul tema, spiegandone alle persone la rilevanza, potremmo raggiungere risultati di una certa portata. E’ come per la questione del clima: se puntassimo sulle rinnovabili solo a Gallarate, o a Cardano per fare un esempio, i risultati non sarebbero sufficienti. Se invece, a livello europeo. Se si scegliesse a gran voce di investire sulle energie green per i prossimi vent’anni, questo approccio sarebbe capace di influenzare anche il resto del mondo. L’Unione Europea può fare davvero la differenza, contrariamente a quanto ci viene raccontato: si preferisce chiuderci nel nostro cantuccio, ma questo è un ‘nazionalismo da sfigati’, che non porta a nulla. Questo nuovo sovranismo è controproducente: un tempo si invadevano gli altri, adesso ci si protegge. L’Italia vive però di esportazioni, i rapporti commerciali sono fondamentali. Per questa ragione bisogna pensare all’Europa in maniera intelligente e propositiva, facendola vivere, finché resterà una sorta di ‘termine religioso’ non otterremo nulla: se invece di bestemmiare, te la prendi con l’Europa additandole le colpe di tutto, la verità è che non stai lavorando per il bene del tuo Paese”.

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Pubblicato il 29 Novembre 2018
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