Belize, “Dalla cameretta a X Factor. Da Varese è iniziato tutto”

Hanno iniziato a suonare, tra una puntata di Breaking Bad e una sfida a gta V. Oggi tornano al locale di Via De Cristoforis dopo l’esperienza in Tv e con un nuovo Ep

Musica Generica

Con il loro sound si sono subito “piazzati” tra le band più interessanti della scena indie italiana del momento. La loro esibizione ad X Factor è stato il trampolino di lancio per uscire dalla provincia e arrivare dritti nelle playlist di Spotify. Al contrario di quanto possa far pensare dal loro nome, i Belize non hanno nulla a che vedere con temperature tropicali.

Il loro ultimo Ep, Replica, uscito il 3 novembre (Ghost Records) sembra piuttosto ispirarsi alla cultura underground della grande metropoli; brani con influenze dal rap, dall’elettronica, dal trip pop con melodie che attingono al cantautorato italiano. Eppure, tutto è nato da una cameretta di provincia, «dove suonavamo, giocavamo a gta V sulla Play Station e guardavamo Breaking Bad», racconta Riccardo Montanari, voce della band, che spiega di aver preso ispirazione per il nome del gruppo proprio dalla serie Tv. Ora hanno davanti due appuntamenti live importanti, il primo l’11 novembre alle Cantine Coopuf di Varese (già sold out), il secondo il 24 novembre al Circolo Magnolia di Milano (con gli Amari).

Possiamo dire che siete una delle band nate dal web?
«In realtà le band nate sul web fanno molti più numeri di quelli che facemmo noi quando pubblicammo il nostro primo video. Ma da lì è iniziato tutto. Era il 2014 e con il primo brano abbiamo attirato l’attenzione della scena musicale varesina e non solo. In tanti si sono incuriositi al nostro progetto»

Come nascono i pezzi dei Belize?
«Nascono in due modi. Il primo è quello che vede Mattia preparare una base e sopra ci costruiamo il resto. Il secondo è quello in cui io scrivo cose al pianoforte o alla chitarra, parto dalla melodia vocale e strumentale e in seguito si aggiungono le ritmiche. L’ultimo Ep è nato principalmente in questo molto, diciamo che sono canzoni “più normali” (sorride ndr). Quest’ultimo è sicuramente il lavoro in cui ci sentiamo più a nostro agio, è un lavoro sincero, impulsivo che sentiamo più maturo e più nostro rispetto ai lavori precedenti».

Rispetto al panorama musicale italiano, a quale genere vi sentite più vicini?
«Al momento a niente. Siamo inseriti nella playlist indie-Italia di Spotify ma non mi piace quasi nulla. Nel primo disco abbiamo cercato di andare nella direzione di ciò che funzionava nel panorama musicale in quel momento, mentre per quest’ultimo lavoro abbiamo fatto di testa nostra, proponendo solo quello che piace a noi. Sappiamo, ad esempio, che in “Iride” c’è un bridge distorto che impedirà alla canzone di passare per radio ma ci piaceva così. Comunque di musica italiana ne ascoltiamo tantissima, penso a Germanò, Colapesce, Lorenzo Senni, Luca Galizia di Busto Arsizio, l’ultimo brano di Cesare Cremonini…»

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Quanto vi sentite HypFi? Cioè fate canzoni tristi per persone felici?
«Diciamo che noi e i nostri ascoltatori, di base, siamo persone felici ma con una grande tristezza. Se all’ascoltatore parli di cose felici lo metti in una “confort-zone”, se gli canti cose tristi è come se lo abbracciassi e gli dicessi “sono nella tua stessa situazione”. La cosa è positiva in entrambi i casi, di certo siamo una generazione con poche prospettive per il futuro e pochi punti fermi, siamo un po’ persi…»

Come il vostro “Superman”, rassegnato e poco invogliato a salvare il mondo?
«Anche. Credo che oggi facciamo tutti uno sforzo immane per cercare di diventare qualcosa di più importante rispetto a quello che si è realmente. Anche per colpa dei social. Per essere felici invece, dovremmo accontentarci di essere quello che si è. Il “Superman” della canzone è, in fondo, un uomo che non vorrebbe far altro che amare la sua donna, stare con sua zia e vivere la sua vita ma i suoi superpoteri non glielo permettono. E’ frustante, figuriamoci per noi uomini che di poteri non ne abbiamo…»

Qual è il tuo super eroe preferito?
«Spiderman, perchè è quello più umano e non uccide»

Cosa vi ha lasciato l’esperienza di X Factor? E cosa pensavate mentre eravate su quel palcoscenico?
«La nostra grande paura era essere presi, più che esclusi. Ci sentivamo un po’ persi e abbiamo capito che non era il nostro mondo. A livello umano è stata una bellissima esperienza, molte persone le sentiamo ancora. A livello professionale abbiamo imparato a rapportarci in un mondo di questo tipo, oltre ad aver avuto la possibilità di confrontarci con Manuel Agnelli con il quale siamo rimasti in contatto. E’ un’esperienza che ci ha dato molta visibilità, anche verso persone più vicine al nostro genere».

Varese è da sempre la roccaforte dell’hip hop, in qualche modo siete state influenzati da quell’ondata della metà degli anni ’90?
«Personalmente non molto, mi sono interessato all’hip hop tardi mentre Mattia sì e credo che questo l’abbia influenzato. Lui ha sempre avuto un approccio più approfondito rispetto al genere, gli veniva naturale. Penso che, per chi frequenta la scena musicale varesina, in qualche modo sia normale “respirare” quell’influsso, ti rimane qualcosa dentro».

Avete davanti due palcoscenici importanti, uno è quello della vostra città, l’altro è il palcoscenico più “indie” ambito di Milano, quello del Magnolia. Quale dei due vi emoziona di più?
«Io sono molto contento di tornare a suonare alle Cantine Coopuf, per me è stato uno dei luoghi più importanti della mia vita. Ricordo ancora quando hanno aperto il Twiggy e sulla locandina c’erano pubblicizzati i live di tutte le mie band preferite. Se non ci fosse stato quel posto probabilmente non avrei fatto quello che ho fatto e sono contento che esista e continui a vivere. Per quanto riguarda il Magnolia invece, è la prima volta sul palco grande e c’è un po’ d’ansia, rappresenta una bella responsabilità»

Quali sono i pregi e i difetti di far musica in provincia per chi vuole emergere?
«Il mio termine di paragone è quello con Milano. La provincia è libera della mode e ti permette di esser meno influenzato e di sviluppare un gusto personale, riesci ad essere te stesso. Lo svantaggio è quello di avere più difficoltà ad emergere. Noi siamo fortunati perchè abbiamo una realtà come la Ghost Records».

Adelia Brigo
adelia.brigo@varesenews.it

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Pubblicato il 08 Novembre 2017
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