Lidia Macchi, Cassazione il 27 gennaio per il processo a Stefano Binda
L’udienza poterebbe mettere fine alla vicenda giudiziaria che ha riguardato il cinquantenne di Brebbia condannato all'ergastolo a Varese e poi scagionato in appello per non aver commesso il fatto
C’era la certezza del terzo grado di giudizio per l’omicidio Lidia Macchi, e ora c’è anche la data, il giorno in cui i difensori di Stefano Binda, Patrizia Esposito e Sergio Martelli saranno di fronte ai giudici di piazza Cavour a Roma, sede della Corte di Cassazione, ultimo giudice, che decide sulla legittimità e non nel merito (come primo grado e appello).
Un giorno, stabilito nel 27 di gennaio, che potrebbe mettere fine alla clamorosa vicenda giudiziaria che ha visto il cinquantatreenne di Brebbia condannato all’ergastolo nella primavera 2018 dopo oltre due anni di arresti domiciliari accusato dell’omicidio della studentessa varesina nel gennaio del 1987, sentenza poi ribaltata dalla corte d’Appello di Milano nell’estate dell’anno successivo per “non aver commesso il fatto” (nella foto, uno scatto della sera del 24 luglio 2019 pochi istanti dopo la liberazione di Stefano Binda dal carcere di Busto Arsizio).
Una decisione invisa alla pubblica accusa, e alle parti civili cioè i famigliari della vittima, la madre di Lidia, la sorella e il fratello. Ricorsi che dunque sono due.
Il primo in ordine cronologico venne presentato dalla procuratrice generale Gemma Gualdi quasi un anno fa, al principio del dicembre 2019.
Fra i punti oggetto della contestazione le “ordinanze istruttorie“ che avevano disposto l’esclusione delle consulenze tecniche Mantero, Posa e Clerici, oltre alla riammissione del teste Piergiorgio Vittorini, l’avvocato bresciano che aveva già in primo grado raccontato all’Assise di Varese di un suo cliente che nel 2017 gli confidò di essere l’autore della lettera inviata alla famiglia il giorno del funerale e considerata dall’accusa la “firma“ dell’assassino. Poi altre contestazioni su elementi di prova e testimoni oltre alla perizia collegiale fatta dai Ris in seguito alla riesumazione del cadavere.
Una settimana dopo la presentazione del ricorso da parte della procura generale come si accennava anche le parti civili si rivolsero alla suprema magistratura, con un ricorso steso a quattro mani e dunque sottoscritto dai legali Daniele Pizzi, e Augusto Cornalba quest’ultimo quale patrocinatore cassazionista: fatti propri i motivi di ricorso della Procura, la parte civile impugna la mancata ricusazione sollevata in Appello e la mancata conoscenza degli atti processuali da parte della corte.
La difesa ha chiesto discussione orale, procedimento che deve venire richiesto in maniera esplicitata, come ha fatto anche il sostituto procuratore generale presso procura generale della Cassazione Marco Dall’Olio che sosterrà l‘accusa a fine gennaio.
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